Gaeta, conosciuta dai turisti e dai suoi cittadini come la “città dalle 100 chiese”conserva ancora oggi, non solo nella memoria di qualche capitello incastonato nelle mura dei palazzi, numerose chiese, viva testimonianza del suo antico splendore e del forte legame che da sempre ha avuto con la cristianità. Città prediletta dai Papi, già prima dell’anno Mille divenne sede dell’Arcidiocesi, contando un numero elevato di luoghi di culto sorti in anni differenti, dimore simboliche delle diverse epoche. In uno studio del 1885, Onorato Caetani d'Aragona, censì ben 39 chiese; nel 1970 Giovanni Alletta ne contò circa 56, considerando anche quelle sconsacrate e scomparse. Molte chiese negli anni furono distrutte, inglobate in altre strutture o hanno cambiato la destinazione d’uso ma, nonostante gli eventi bellici e guerre di domini, Gaeta conserva ancora oggi gelosamente le sue chiese che, a tutti gli effetti, fanno parte dell’invidiabile patrimonio architettonico della città.
....Cento no, ma quante, a contarle, le chiese ormai conservate soltanto nella memoria degli archivi, perchè anche la memoria fatica a ricordarle.
Gaetani d'Aragona, nella sua ricognizione storica del 1885, ne conta 39 e ricorda che "nel XV secolo esistevano ventuno parrocchie"; N. Aletta nel 1930 seleziona le più importanti dal punto di vista monumentale; il libro di G. Allaria del '70 (la ricerca più completa) ne elenca ben 56, considerando ovviamente anche quelle esistenti nei secoli passati e poi sconsacrate, o scomparse.
Dove sono ora? San Teodoro e San Silvestro, Santa Irene e Santa Barbara.... Qualche pezzo di esse è inglobato nei muri di case successivamente edificate, altre chiese sono diventate altro o sono andate completamente distrutte in qualche episodio bellico, altre ancora sono semplicemente chiuse... Città di chiese e monumenti, Gaeta potrebbe essere davvero un museo all'aria aperta.
Molte delle chiese e dei monumenti qui descritti son vicinissimi al nostro B&B Nari
sec. VII; sec. X; sec. XVII - sec. XVIII; sec. XX
L'interno della chiesa si presenta a tre navate con cappelle laterali e con transetto, presbiterio e abside fortemente rialzati. L'assetto attuale è il risultato della ricostruzione settecentesca voluta da Ferdinando IV di Borbone. Il suo aspetto è rispondente al gusto neoclassico del tempo. Sulla retrofacciata, in opposizione al presbiterio e all'abside piatto, nella cui area è un coro ligneo cinquecentesco, è la cantoria poggiata su due colonne di marmo. La facciata, del 1903, è un sobrio esempio di stile neogotico. Essa è caratterizzata da un vasto portico sormontato da una trifora, posta al centro, e da due bifore. Sul frontone, sopra il rosone cieco in travertino (1950), la statua dell'Immacolata, fusa in ghisa. Dalla porta sinistra che fiancheggia il portico, si accede ad un ampio spazio dove sono visibili le colonne con rispettive volte a crociera della primitiva chiesa dell'età medievale.
Sotto il presbiterio vi è la cripta ampliata sul finire del sec. XVI e ornata nel Seicento, di marmi policromi, affreschi e arredi sacri. Ad essa si accede dalle due navate laterali attraverso due ampie scale.
Dal lato sinistro del transetto si accede alla Sacrestia, all'aula capitolare, alla cappella del tesoro e ad altri vani annessi.
La Basilica sorge nel sito in cui nel VII secolo esisteva, fuori le mura della città, la chiesa di S. Maria del Parco ove trovarono riparo i vescovi fuggiaschi di Formia. Ampliata nel X secolo dall'ipata Giovanni Patrizio Imperiale, a seguito del ritrovamento delle reliquie del santo patrono, Sant'Erasmo, e della folgorante vittoria sui Saraceni del Garigliano (915), venne successivamente consacrata dal papa Pasquale II nel 1106. In più parti sono visibili le colonne in marmo della struttura architettonica originaria, un tempo a cinque navate, per alcuni a sette. L'equivoco è nato forse dall'ibrido generato dall'affiancamento di due chiese diverse per forma e ampiezza.
È inserita tra la via Duomo e vico Gaetani in un sistema viario alterato nell'800 e nel dopoguerra - nel centro medievale nelle immediate vicinanze dell'antico forum civitatis (attuale piazza Cavallo) e la via pubblica ampliata nella metà dell'800 nel piano di riassetto urbanistico della zona, voluto dal re Ferdinando II. Sul "forum civitatis" si affacciava anticamente anche il palazzo ducale, del X secolo.
All'interno vi sono molte opere d'arte, come il Cero Pasquale del XIII secolo ornato con bassorilievi dedicati alle vite di Gesù Cristo e Sant'Erasmo, e nella cripta sono sepolti i corpi dei santi Erasmo, Marciano, Innocenzo, Secondino, Porbo, Casto ed Europa. Il suo campanile, alto 57 metri, è di stile arabo-normanno e risale al XII secolo. Al suo ingresso è posto un bassorilievo rappresentante la pistrice che ingoia e rigetta Giona.
Sul fianco destro della basilica, verso il transetto, vi è l'accesso al monumentale campanile dei secc. XII e XIII, di Niccolò d'Angelo, marmorario romano della famiglia dei Vassalletto. La sua altezza raggiunge i 57 metri. La base, costruita con il reimpiego di materiali edilizi provenienti dai monumenti romani della zona, in particolare dal Mausoleo di Atratino. L'imponente scalea centrale conduce all'interno della chiesa, nell'area occupata da una navata superstite della primitiva basilica, ricca di affreschi e colonne. Su entrambi i lati vi è un sarcofago romano, provenienti dalla zona archeologica di Minturno, come pure i bassorilievi alle pareti, raffiguranti, secondo l'interpretazione abituale, Giona e la balena, e sempre secondo l'opinione del Gaetani, segnali di avvertimento per i bambini nati dell'antica Minturnae, perchè facessero attenzione a non cadere nel fiume su cui era costruita la città, una specie di cave piscem.
Gravemente danneggiato durante l'ultima guerra, come tutta la zona di Piazza Cavallo, il campanile del Duomo, reastaurato, rimane uno degli elementi imprescindibili del panorama gaetano.
Santuario della SS. Annunziata
1320-21 - secc. XVI-XVII (1621) - XIX Il tempio, a pianta rettangolare e di origine angioina, ad una sola navata con ardite crociere ogivali innervate da robusti costoloni. Originariamente di stile gotico, si presenta attualmente come un magnifico esempio di architettura barocca. Ristrutturato nel 1621, a trecento anni dalla fondazione, ha una facciata a doppio ordine con elegante paramento costituito da due organismi sovrapposti comprendenti nicchie e lesene. In alto un campanile a vela (aggiunto un secolo dopo) munito di orologio maiolicato di Matteo De Vivo. All'interno si erge maestoso (sulla parete absidale piatta) il grande trittico cinquecentesco donato alla chiesa da Giuliano Colojna, cittadino di Gaeta. Sulle pareti laterali, due altari marmorei del Seicento, con tele di Luca Giordano. Sulla destra, la cappella del Santissimo. Nei vani annessi: la sacrestia a pianta rettangolare con due finestre sulla parete di fondo e la cappella dell'Immacolata (Grotta d'Oro, per la ristrutturazione cinquecentesca), che risale al XIV secolo. L'Ospedale, la cui fondazione risale al 1355, è posto a pochi metri dall'androne principale dello Stabilimento ristrutturato nel 1619 assieme alla cappella del Conservatorio, è composto da una grande aula suddivisa a due livelli da un ballatoio recante in basso gli alloggi dei ricoverati. La sua copertura venne costruita a botte nel Cinquecento. La chiesa è parte integrante dell'antica Opera Pia istituita dai cittadini di Gaeta nel 1320-21, per fini assistenziali. Precedenti restauri erano stati effettuati nel '500 a seguito della costruzione della cinta fortificata di Carlo V (1536). Arricchita di pregevoli opere d'arte, ottenne da sovrani e cittadini, generose donazioni e lasciti testamentari che le permisero di vivere nell'opulenza e nello splendore. L'ospedale, vero orgoglio della fondazione, subì ampliamenti e ristrutturazioni nel '400, nel '500 e nel '600, fino ad assumere l'aspetto attuale. Lo Stabilimento era anche dotato di una farmacia annoverata, nel Seicento, tra le più importanti del regno. Accanto a queste strutture sanitarie, arricchiva il patrimonio artistico, la splendida Cappella d'Oro, denominata Grotta d'Oro, in cui pregarono vari pontefici, tra cui papa Pio IX e Giovanni Paolo II, detta così perché ha la volta a botte costituita da cassettoni di legno intagliati e dorati. Nella Chiesa dell'Annunziata si conservano decine di codici preziosissimi che riportano musica sacra e sono stati copiati a mano dai monaci amanuensi. Spettacolari sono le miniature di tali manoscritti.
sec. VII (origini), secc. XII - XIII
( edificio interessato da lavori di restauro - chiuso al pubblico )
La chiesa è a pianta longitudinale divisa in tre navate. Il suo interno è modulato da due file di quattro colonne in marmo con capitelli. L'area presbiteriale è sopraelevata nella sola navata centrale. L'abside è a pianta semicircolare. La copertura è a volte a crociera costruite nei secc. XII - XIII in sostituzione di una primitiva copertura a capriata.Sul fianco destro, nell'area absidale si erge il campanile a due piani, costruito nel XII secolo con copertura a sezione ogiva di derivazione islamica. All'interno della chiesa sono visibili (sul lato destro) le absidi della primitiva chiesa ad una sola navata risalente al VII secolo e disposta ortogonalmente rispetto all'attuale. Sui due lati dell'abside due piccoli vani adibiti a sacrestia (lato sinistro) e a cantoria (lato destro).
La chiesa di S. Lucia, denominata anticamente di Santa Maria in Pensulis, ebbe origine, nel cuore del centro storico della città, nel VII secolo, inserita in un contesto urbanistico fatto di viuzze, case torri e giardini pensili, conserva tutte le caratteristiche costruttive e morfologiche della tradizione altomedievale mediterranea. Della sua primitiva costruzione sono visibili la piccola abside affrescata, le tracce dell'antico interno e le bifore murate della facciata principale della nuova chiesa. Menzionata la prima volta in una pergamena del 976, è annoverata tra le più antiche parrocchie di Gaeta nella relazione fatta alla R. Camera della Sommaria dal vescovo Ildefonso Lassosedegno nel 1591. A partire dal 1648 subì radicali trasformazioni con l'aggiunta di ornamentazioni barocche eliminate nel restauro del 1930. Venne riconsacrata nel 1765 dal vescovo Carmignani.
Dal 1387, fu la Cappella reale dove si recavano a pregare, venendo dal castello, re Ladislao in compagnia della moglie, regina Costanza Chiaramonte, e della madre Margherita di Durazzo. Inoltre vi pregarono insigni rappresentanti delle dinastie dei Durazzo e dei Chiaramonte.
Al suo interno sono conservate opere di Giovanni da Gaeta.
L'edificio oggi è di proprietà del Comune di Gaeta.
Attualmente è sconsacrata e chiusa al culto.
Su richiesta degli interessati viene utilizzata per la celebrazione del matrimonio con rito civile in alternativa a quello celebrato nella Casa Comunale.
Saltuariamente al suo interno vi vengono tenuti dei concerti di musica classica e manifestazioni artistiche e culturali.
Il convento è stato fondato dallo stesso S. Francesco nel 1222. Fu generosamente sostenuto dal Re Carlo II d'Angiò, il quale era molto legato all'ordine francescano. La grande chiesa gotica fu terminata nel corso dal XIV sec.: aveva una grande navata coperta da sei campate coperte da volte ed anche due navate laterali più basse, la chiesa era conclusa da un presbiterio quadrato e con molta probabilità da una complessa abside.
Come tutte le altre chiese maggiori di Gaeta, fu arricchita da opere d'arte tra il XVI e il XVIII sec., essendo per altro sede di cappelle e di sepolture delle famiglie nobili e dei governatori spagnoli. l'aspetto esterno è noto per la presenza di vari dipinti dei secc. XVIII e XIX, tra cui quello celeberrimo di F. Vervloet raffigurante la benedizione di Papa Pio IX alla guarnigione di Gaeta.
Con l'invasione napoleonica anche questo convento fu requisito e la chiesa cadde in rovina dopo la sopressione degli ordini religiosi (1809). l'abbandono perdurò anche dopo la restaurazione. Il restauro della chiesa iniziò nel 1854, su disegno dell'architetto G. Guarinelli e andò avanti rapidamente sotto il diretto patrocinio reale e con il concorso tra i medesimi artisti che avevano lavorato in S. Francesco di Paola a Napoli. nel 1858 si concluse il restauro.
Con l'assedio del 1860-1861 subì lievi danni. Verso il 1870 il governo italiano si occupò di far eseguire i lavori per portarla a termine. Venne affidata nel 1927 ai salesiani che vi hanno tenuto una propria comunità fino a pochi anni or sono. Durante la II guerra mondiale fu nuovamente danneggiata, e restaurata tra il 1951 e il 1952. La chiesa è rimasta aperta anche dopo la rinuncia dei salesiani, grazie a un gruppo di volontari;
Si accede alla chiesa da una scalinata monumentale con al centro la statua della Religione; il soprastante piazzale, famoso per lo splendido panorama, è chiuso da una balaustra neogotica. La facciata ha al centro un grande portale con ampio strombo marmoreo con motivi floreali; ai lati le statue di: Carlo II d'Angiò e Ferdinando II; nel timpano Allegoria della restaurazione del papato; sulla cornice, da sinistra a destra, S Bernardo, S. Ambrogio, S. Francesco, S. Agostino e S. Tommaso d'Aquino. All'interno, (vasto e luminoso) vi sono grandi statue in gesso dei Santi Apostoli sui pilastri, nel fondo l'abside del Redentore, il pavimento marmoreo con riquadri intarsiati e per finire il grandioso altare disegnato da Giacomo Guarinelli. inoltre ci sono diversi dipinti provenienti da Capodimonte: sulla parete d'ingresso la grande tela umiltà di S. Francesco; nel presbiterio, le tavole barocche Vergine Assunta, Sacra famiglia al riposo in Egitto; la Circoncisione e Adorazione dei Magi e sugli altari laterali due tele di scuola napoletana del XIX sec.: le tre Marie e crocifissione. Ai lati del presbiterio ci sono due ampi matronei che fungevano da palco reale e da cantoria...Salendo lungo il fianco sinistro della chiesa si accede all'edificio che fu sede del convento. Tuttora vi è il chiostro di origine trecentesca e alcuni vasti ambienti oratoriali che costituivano le Scuole Salesiane. Sul vasto cortile sono presenti diversi spazi ricreativi all'aperto, tra cui un campo di calcio e vari edifici ottocenteschi (alcuni dei quali erano utilizzati a fini militari).
Chiesa SS. Trinità (Montagna Spaccata)
Sec. XI Restauro sec.XIX
Il Santuario della SS. Trinità o "Santuario della Montagna Spaccata" è stato edificato dai monaci benedettini nel l'XI secolo, sorge su un pendio del Monte d'Orlando.
La costruzione sacra si colloca in un contesto davvero molto insolito, circondato da eventi naturali legati misteriosamente a eventi mistici
.
La fisionomia attuale della chiesa è frutto del restauro del XIX secolo operato dei padri Alcantarini.
A destra della chiesa si percorre un corridoio scoperto con alle pareti le stazioni della Via Crucis in riquadri maiolicati,opera di R. Bruno (1849): sotto ogni quadro i versi del Metastasio. Numerosi pontefici (particolare venerazioIngresso Cappella del Crocifisso
Ingresso Cappella del Crocifissone per il santuario ebbe Pio IX), sovrani, vescovi, santi (Bernardino da Siena, Ignazio di Loyola, Leonardo da Porto Maurizio, Paolo della Croce, Gaspare del Bufalo, Filippo Neri) hanno visitato questo luogo di raccoglimento spirituale.
Oggi il santuario è sede dei missionari del P.I.M.E.
Inoltre il Santuario è visitabile tutti i giorni dalle ore 09:00 alle 12:00 e dalle 15:00 al tramonto.
Edificata nel X secolo dal duca di Gaeta Giovanni IV, presenta come caratteristiche la cupola in stile arabo e il pavimento leggermente inclinato per permettere il defluire delle acque del mare nei periodi di alta marea essendo stata eretta nelle vicinanze del mare, all'esterno della cinta muraria, parzialmente demolita agli inizi degli anni Sessanta.
La piccola chiesa di S. Giovanni a Mare (che era conosciuta anche con il nome di S. Giuseppe perchè vi si riuniva la Confraternita dei falegnami, i quali avevano un proprio altare e vi celebravano la messa) è una delle più caratteristiche della Gaeta medievale per le diverse influenze architettoniche che vi si fondono.
Edificata sul luogo di un edificio romano da cui materiale vario per le fondamenta e la costruzione. L'altare è ricavato da un sarcofago, le otto colonne che dividono le navate hanno caInterno della Chiesa di San Giovanni a Mare
Interno della Chiesa di San Giovanni a Marepitelli di vario stile. Di particolare interesse è la cupola di arte bizantina.
San Giovanni a Mare ha dato il nome ad una importante Associazione musicale locale (fondata nel 1971) che organizza annualmente una stagione concertistica di altissimo livello.
sec. XI ? (inizio) - secc. XIV - XIX
L'attuale assetto della cappella risale al 1854. Costruita a una sola navata, è parte integrante dell'attiguo palazzo S. Giacomo. Il suo interno, suddiviso in due campate, più il presbiterio, conserva un repertorio decorativo di gusto eclettico ottocentesco. Le coperture sono a crociera, fatta esclusione del presbiterio, su cui si eleva una cupola emisferica a sezione ogiva. Sulla retrofacciata, la cantoria in muratura la quale serviva anche da coro della confraternita dei Bianchi e da sala riunioni. Sul fianco sinistro dell'edificio, la sacrestia e i vani di disimpegno che conducono all'esterno in un piccolo giardino dal quale è raggiungibile il campaniletto posto sulle volte estradossate sull'orlo della facciata laterale. Sul lato destro, l'ingresso secondario, con pregevole portale trecentesco scolpito in pietra locale. La facciata, estremamente lineare e piatta, culmina in un timpano sormontato da una croce metallica fusa. Arricchisce il prospetto un portale tardo-cinquecentesco in pietra. Sulla sinistra del piccolo spazio antistante l'ingresso, un modesto locale con semplice portale in pietra recante, sull'architrave, la scritta: Pro justitiatis 1758.
La fondazione della piccola chiesa risalirebbe all'XI secolo per un voto fatto dai pisani che in quegli anni erano occupati a scacciare i Saraceni dai nostri mari. Di essa si ha notizia nei capitoli di riforma degli Statuti civici di Gaeta, in cui si menziona una cappella in essa eretta dal patrizio Marco Antonio d'Albito. Verso la metà del '500 nella chiesa fu annessa la confraternita del Bianchi col titolo della Natività della Vergine, che più tardi provvederà ad assistere e dare sepoltura ai condannati a morte. Per questo motivo nel 1758 verrà costruito il piccolo locale sepolcrale (tuttora esistente) sul lato sinistro del sagrato. Acquistata dal Governo borbonico nel 1792, assieme al palazzo S. Giacomo, venne ridata in uso alla confraternita nel 1826. Verso la metà dell'800 subì una radicale ristrutturazione ad opera di Ferdinando II.
Un piccolo nucleo di pp. domenicani giunse a Gaeta nel 1229, quando Riccardo dell'Aquila, conte di Fondi, e suo figlio Ruggiero fondarono un convento e glielo affidarono; si trattava probabilmente di un casupola dotata di oratorio, consona allo spirito mendicante dell'Ordine Domenicano. Oltre a questo primo insediamento, i frati ottennero successivamente una nuova area, alquanto vasta, concessa loro dal re Carlo II d'angiò nel 1308. Su di essa sorse il grandioso complesso monumentale di S. Domenico, in una splendida posizione a picco sul mare.
La piazzetta si apre a lato della strada (che fino al 1840 era poco più di un vicolo) ed è chiusa dalla facciata della chiesa e dall'ingresso del convento dominato dalla "Torre Campanaria"
La facciata imponente è caratterizzata dal portale monumentale (XIV sec., restaurato), più a destra, il campanile del XIII sec. con meravigliose bifore; al di sotto un elegante portale catalano di forma inconsueta (ricorda vagamente un libro)e reca scolpite alcune stelle o otto punte. Libro e stelle sono attributi iconografici di S. Domenico. Sul fianco sinistro lunghe finestre "ad asola" che si aprono al centro delle ogive sono di recente costruzione (restauri del 1928). All'altezza della rientranza dell'abside quadrata, il "belvedere" sul golfo realizzato nel XX sec. permette di osservare la parete fondale della chiesa e le terrazze del convento sull'alta scogliera a picco sul mare con incomparabile effetto scenografico.
All'interno una estesa nudità, in questo caso non derivante dalle intenzioni dei restauratori ma forzata conseguenza di due secoli di continua spoliazione della chiesa. Nel periodo gotico vi furono sicuramente alcuni affreschi lungo le pareti e quando vi erano le porte laterali, finestre a varie altezze, lapidi tombali e stemmi nobiliari. Nel periodo rinascimentale e barocco fu abbellita con stupende decorazioni e le cappelle nella navatella di destra. Nell'ottocento fu requisita e profanata per usi militari, ma ancora parte delle decoraizoni erano esistenti. Agli inizi del '900 si cercò di mascherare le pareti divenute nude con quadri seicenteschi. Oggi si può solo ammirare la possente struttura gotica, l'immensa navata maggiore, trecentesca, con le sue altissime cinque campate composte da volte costolonate e le elegantissime arcate quattrocenteIngresso lateralmente
Ingresso lateralmentesche in stile catalano che la separano dalla navata laterale. Al centro dell'abside quadrata, il possente altare maggiore, semplice blocco di pietra serena realizzato nel 1928, unico testimone della passata vita religiosa...
La Confraternita del SS. Rosario, eretta canonicamente il 4 settembre 1607, aveva il proprio oratorio nel convento di San Domenico, mentre nell’omonima chiesa avevano sede la cappella per le celebrazioni e diverse sepolture per i propri adepti.
Dalla “Platea della Venerabile Confraternita …” (1761) si legge che nel 1747, previo consenso dei Domenicani e dopo la deliberazione del pio sodalizio, venne edificata una nuova cappella funeraria sotto la sacrestia della chiesa. Il 22 ottobre 1747 il Vescovo di Gaeta, Gennaro Carmignani (1738-1770), consacrò la Terra Santa. Si accedeva alla struttura attraverso una scala dall’interno della chiesa passando nell’ambiente a destra della cappella.
Ogni anno la Confraternita eleggeva due deputati per la Terra Santa, i quali dovevano sovrintendere al rispetto delle regole, aggiornare un registro dei morti e apporre le epigrafi sulle sepolture. Il SS. Rosario aveva i sacrestani che, tra gli altri compiti, dovevano occuparsi del seppellimento dei confratelli.
A seguito delle vicissitudini dell’assedio del 1806 e dell’occupazione francese, la chiesa, il convento e la Terra Santa furono requisiti divenendo beni ad uso del governo. Nel contempo, la Confraternita si trasferì nella vicina chiesa di San Tommaso Apostolo, dove tutt’ora risiede.
L’accesso alla Terra Santa dalla chiesa venne murato e la cappella rimase isolata e quindi non venne ne demolita ne depredata. Nel 1853 il Priore della Confraternita avviò un’azione verso il re Ferdinando II per riacquisire la proprietà della Terra Santa in funzione delle enormi spese sostenute per la realizzazione del luogo di sepoltura. Il 21 ottobre 1853 il Genio scrive al priore restituendo la Terra Santa alla Confraternita. Nel giro di pochi giorni i confratelli si adoperarono per la costruzione della scala e il 2 novembre 1853 venne celebrata presso la cappella la festa dei morti. Negli anni successivi la cappella venne sempre officiata e il 4 novembre 1920, previa approvazione diocesana, il Priore della Congrega scrisse al Padre Generale dei Frati Minori a Roma per poter installare le 14 stazioni della Via Crucis all’interno della Terra Santa con relative indulgenze. Oggi di quelle formelle resta traccia in alcune crocette lignee presenti sui muri della cappella. Purtroppo, dopo qualche anno, la cappella e il giardino vennero utilizzati a vario titolo da privati, oltre a subire vilipendi ed espoliazioni. Negli ultimi tempi, grazie all’interessamento del Priore Renato Satriano, la struttura è stata inserita in un progetto di recupero che vede oggi un primo traguardo.
All’interno, tra gli oltre settanta teschi esposti, ne figurano alcuni con una lamina metallica a forma di croce applicata sulla parte frontale, probabilmente il segno distintivo degli ecclesiastici. La novità maggiormente interessante dei lavori di pulizia dell’ambiente è la riscoperta di un’epigrafe del 1861 posta su una teca in legno probabilmente da riferirsi ad una mummia di bambino oggi scomparsa.
L’iscrizione, dipinta sul coperchio della teca, è rimasta obliterata sotto uno spesso strato di polvere e sottili calcinacci. Secondo una tradizione orale, il corpicino mummificato posto all’interno della teca veniva “accudito” dai familiari, che periodicamente ne rinnovavano anche i vestiti. Da qualche decennio la piccola mummia è scomparsa, ma nella teca sono rimasti una serie di oggetti: un cuscino imbottito di foglie, una cuffia con il bordo ricamato, una ghirlanda di fiori finti per i capelli, vari elementi dell’abitino e le calze.
L’iscrizione sul coperchio della teca fa riferimento a Peppino Conte, figlio di Vincenzo e Luigia Sasso, morto il 12 febbraio 1861, il giorno prima della resa di Gaeta. Volendo fare un riscontro archivistico, non si conservano all’anagrafe del comune i registri di morte di quell’anno, mentre i libri delle parrocchie di Gaeta medievale sono confluiti nell’archivio della Cattedrale.
Nel Mortuorum Liber della oggi soppressa parrocchia di Santa Lucia (1719 - 1877) è presente un’addenda relativa ai bambini (1753 - 1880): il parroco Antonio Giordano registra che il 13 marzo 1861 “Joseph Conte” di anni 4, nell’abitazione del padre, rese l’anima a Dio. La discrepanza di data tra il documento d’archivio e l’iscrizione sulla teca si risolve attraverso un ripensamento di colui che ha dipinto il testo sulla piccola bara, infatti sono ben evidenti le correzioni: sotto la parola “FEBBRAIO” si intravede la parola abrasa “MARZO”. Un altro refuso nell’epigrafe è l’accento sulla E dipinto per errore.
Non sappiamo se il citato corpicino mummificato fosse di Peppino Conte, ma probabilmente se nella teca fosse stato sostituito il defunto, avrebbero provveduto a modificarne le generalità sul coperchio.
Le motivazioni per cui questo bambino sia stato mummificato ed esposto all’interno della cappella (contravvenendo alle leggi in vigore) non sono rintracciabili.
Di Giuseppe Conte si riscontra, presso l’anagrafe comunale, l’atto di nascita del 19 marzo 1858, mentre nel Liber Baptizatorum di Santa Lucia (1813 - 1871), al medesimo giorno si legge il battesimo di Joseph Franciscus Maria Conte. Di conseguenza l’indicazione nel registro dei 4 anni di età all’epoca della morte è inesatta.
Facendo riferimento agli atti di archivio, l’epigrafe posta sulla teca presenta un ulteriore errore: Peppino Conte è figlio di Aloysius Vincentius Camillius, probabilmente chiamato in maniera convenzionale con il secondo nome e quindi anche sulla bara viene indicato Vincenzo. Il padre di Peppino viene battezzato, sempre nella Parrocchia di Santa Lucia, il 1 marzo 1825. Dal medesimo registro risulta anche il battesimo della mamma, Aloysia Leonarda Giuseppa Sasso, il 20 dicembre 1831.
I resti mortali esposti nella Terrasanta sono uno spunto di riflessione sulla caducità della vita, sulle vanità terrene e sull’inutilità dell’attaccamento degli uomini alle fattezze esteriori: “Memento mori”.
Chiesa chiusa al culto
sec. XVI (origine); assetto attuale sec. XVII; facciata sec. XIX
La chiesa ha una forma ottagonale con ingresso da uno dei lati su cui insiste la cantoria. L'altare maggiore del sec. XVII è di pregevole fattura ed è opera dello scultore napoletano Dionisio Lazzari. Fino a non molti anni fa su di esso era incastonata l'icona della Madonna della Sorresca, ora custodita nello Stabilimento dell'Annunziata, che ne amministra i beni. Sulla destra vi è un vano adibito a sacrestia che dà accesso alla cantoria e al campanile. La facciata, rimaneggiata a metà dell'800, nel corso dei lavori di ampliamento di via Duomo, presenta un ampio portale con scala di accesso all'aula ottagonale e una monofora sovrapposta ad esso incorniciata da un timpano triangolare. Il campanile affianca la facciata ed incorpora anch'esso una monofora e diviene parte del fronte principale. La torre campanaria, a pianta quadrata, è costituita da archetti a tutto sesto e culminante a cupola emisferica.
Il piccolo edificio sorse per suffragio popolare in onore della Vergine nel luogo in cui, nel '500, vi era un magazzino della famiglia Albito di Gaeta, nel quale si custodiva un quadro della Madonna ritenuto miracoloso. In questo deposito, prima della vendita, veniva conservato in barili di legno la "sorra", ossia la pancia del tonno salata. Da qui la denominazione di "Madonna della Sorresca", anticamente festeggiata il 16 aprile di ogni anno. Attualmente la chiesa è chiusa al culto, anche se viene aperta periodicamente per manifestazioni culturali.
La chiesa, è posta nell'angolo di piazza Traniello con facciata su via Duomo e sui due lati tra vicolo della Sorresca e la Salita degli Albito. Alle spalle dell'edificio vi sono resti archeologici
La chiesa ha subito nella metà dell'Ottocento un radicale restauro con la costruzione della nuova facciata seguendo l'allineamento alla nuova via Duomo. Altri interventi furono eseguiti negli anni '50 del Novecento e negli anni '80 con il restauro del campanile e della cupola, quest'ultima salvata dalle infiltrazioni d'acqua piovana.
Originariamente la chiesa era un monastero dei Padri Agostiniani scalzi edificata nel 1624, il quale fu soppresso nel 1809 dalle leggi francesi, durante le quali per mancati restauri cadde in abbandono.
L'ala occidentale col tempo crollò in gran parte, quella orientale venne ridotta ad abitazioni urbane; di quella meridionale esiste ancora qualche avanzo del muro di cinta, mentre dal lato settentrionale il chiostro era limitato dall'attuale chiesa.
Nell'atrio compreso fra le ali, ora interrato e coltivato ad agrumi, esiste un pozzo di acqua sorgiva; e sul sagrato della chiesa si apriva il vano di una farmacia che i frati esercitavano, anche per uso del pubblico. La chiesa è la più ampia del paese, la più areggiata e luminosa ed in essa è ricettata, fin dal 1777 la congregazione di Maria SS. di Porto Salvo, il cui oratorio appositamente costruito con accesso indipendente dalla strada Atratina comunica con la chiesa stessa e con l'antico cimitero posto al ridosso.
Il tozzo campanile che sta sul lato sinistro del prospetto, contiene il più antico orologio del Borgo, perchè ha la rispettabile età di qualche secolo.
In seguito agli eventi bellici della II guerra mondiale la chiesa ha subito lavori di ripristino e consolidamento delle parti dannegiate (1944 - 1945), e a distanza di 20 anni nuovi interventi di consolidamento delle parti del convento al ridosso della chiesa.
Recentemente (1980 - 1990), sono stati restaurati e tinteggiati l'interno della chiesa e della cappella della Congrega. Dal 1944, la chiesa è divenuta sede della Parrocchia dei SS. Cosma e Damiano.
Le prime notizie attendibili sulla chiesa di San Cosimo, si hanno da una pergamena del 997. .
La distruzione della chiesa, forse nell’884, fa risalire la sua edificazione a molti anni addietro, almeno intorno all’800.
Il vescovo Bernardo (997-1047), figlio del duca Marino, incaricò Pietro Presbitero, Benedetto e Bono, canonici romani, di restaurare la chiesa che, intanto, era stata riparata: affreschi di notevole interesse, purtroppo perduti, ricoprirono le povere pareti della piccola chiesa che «allora non si elevava al piano attuale, ma era sul vano che presentemente costituisce il sotterraneo, adibito fino dal principio del secolo XIX per sepoltura della popolazione della Parrocchia».
La parrocchia non presentava particolari pregi architettonici né era fornita di opere d’arte: la povertà dei parrocchiani non consentiva offerte sostanziose.
Ebbe sei altari, oltre quello maggiore col titolo dei Ss. Cosma e Damiano: vi era l’altare del SS. Rosario, quello del SS. Corpo di Cristo, e quello di S. Maria delle Grazie, quello di S. Antonio, della famiglia Tuoci, e quello di S, Nicola, della famiglia Alviti. Nel 1741 erano addetti al servizio della chiesa 17 sacerdoti che coadiuvavano il parroco, don Erasmo Cicconardi.
Dopo i bombardamenti della II guerra mondiale, della chiesa non era rimasto che l’altare maggiore con la nicchia dei Santi Cosma e Damiano; il vescovo emanò un decreto nel quale decise che la parrocchia venisse momentaneamente trasferita presso la vicina chiesa di Maria SS. di Porto Salvo (l’attuale parrocchia) in attesa dei lavori di ricostruzione della chiesa, che mai iniziarono.